Il futuro è il lavoro difficile che abbiamo cominciato ieri.

Vediamo se riesco a metterla giù in modo che si capisca e senza essere frainteso: Il 4 Marzo io voto PD.  Fin qui niente di nuovo. Ripeto cose dette già in passato, perché più spesso che no fare politica significa ripetere cose già dette, raffinandole per strada. Ripeto ancora: fare politica non è votare. Votare è una cosa che si fa ogni tot di anni. Non è nemmeno ascoltare la radio o litigare su facebook. Fare politica è anche quello, ma pure tutto quello che si fa nel frattempo, cioè tutti i giorni, cioè sempre.
Almeno per me. Fare politica è partecipare a un progetto per costruire il futuro. Quanta fatica mi è costata in questi anni; e tempo; e soldi; e energie; e incazzature. Tante. L’ho detto già altre volte, lo so. Facciamo che questa è l’ultima volta che lo dico.
In politica, quando la fai, c’è di tutto, così come in tutti gli altri campi dell’esistenza. C’è gente più o meno intelligente, più o meno sognatrice, più o meno ambiziosa, più o meno stronza, più o meno simpatica, più o meno onesta. Dovunque. Ognuno di noi ha un “profilo”, ovvero una combinazione delle cose che ho elencato e di altre che non ho elencato. La politica ha bisogno di “profili umani” diversi, di motivazioni e ambizioni diverse. Pensate cosa succederebbe se tutti i 60 milioni di italiani avessero come unica ambizione quella di diventare presidente della repubblica: sarebbe la guerra civile.

Per me la politica è sempre stata una cosa un po’ morettiana (nel senso di Nanni, si, purtroppo): sapete, quel cliché stantìo dell’essere in minoranza? Quel luogo comune elitario e narcisista di quelli che pensano che Keplero e Copernico abbiano scoperto che tutto l’universo debba ruotare intorno al loro ombelico, alle loro passioni, ai loro valori, alle loro idiosincrasie, che “er scinema itagliano” sennò dove li prende i soggetti da farsi finanziare dal Mibac? Solo che Keplero e Copernico hanno detto un’altra cosa, e quindi, appena ce ne accorgiamo, noi minoritari, ecco che parte la litanìa: io sarò sempre in una minoranza, io mi riconoscerò sempre in una minoranza. Ecco, io sono proprio quello stronzo lì: l’elitario, minoritario, saccente che si contorce e soffre intimamente ma in realtà se la gode e non ve lo dirà mai. Probabilmente, nel mio caso, sono in una minoranza diversa da quella in cui si riconosce la maggior parte dei miei “dodici lettori”, ma nella sostanza del ragionamento cambia pochissimo. Soffriamo minoritari. Delle nostre sofferenze, però, l’universo se ne fa puntualmente e velocemente una ragione, ché gli ospedali hanno tutti i posti letto occupati con gente che soffre davvero e se non vi dispiace forse dovremmo preoccuparci di loro e non delle nostre inadeguatezze di posizionamento. Un giorno forse avremo uno stato tutto nostro, una società plasmata sui nostri desideri, proprio come in un episodio di Black Mirror. Può essere che ci farà schifo anche quella, perché con ogni probabilità rimarremo minoritari. Il problema, secondo me, non è tanto l’esserlo, quanto il realizzarlo il prima possibile, prenderne atto e trovarsi un lavoro, dentro e fuori la politica. Costruire. Perché sennò il futuro che è iniziato ieri lo costruiscono gli altri, giorno dopo giorno e poi, ogni tot di anni, alle elezioni.

Fosse per me oggi, queste elezioni sarebbero un problema di semplicissima soluzione; non ci sarebbe nemmeno da discutere sul da farsi, ché la legislatura che si è chiusa era iniziata con un vero e proprio tradimento, con l’offesa ingenerosa portata a una persona seria e per bene (si, Mario Monti, proprio lui) e si potrebbe ristabilire un po’ di senno e di giustizia e – che ne so – se tipo ci mettessimo Calenda, a palazzo Chigi, che almeno è uno che sa di che cosa parla e ha dimostrato di saper fare le cose che van fatte e farle pure per bene. E’ un nome plausibile, non sto facendo endorsment. E’ un esempio. Tanto non succederà, figurati se succede una cosa auspicata da un elitario minoritario anche un po’ stronzo come me.
Abbiamo chiuso una legislatura interessante, proprio in senso entomologico, ad osservarla come un alveare o un ecosistema di insetti e vedere l’effetto che fa; una legislatura che, inziata malaccio, è continuata a fasi alterne, prima con un governo un po’ inane, poi con l’ottimismo della volontà – che era meglio se fosse andati a votare, mi dite – poi col vaffanculo del referendum costituzionale e infine con un ottimo governo centrista, scaltro, opportunista quanto basta e più attivo di quanto ci saremmo aspettati. A proposito, una cosa, un sassolino: io la capisco pure la faccia scura quando gli amici ti tradiscono, caro Enrico Letta: è umano. D’altra parte, per amore di verità, se basta un Gentiloni qualunque per fare le cose che vanno fatte, farle per benino, quasi in sordina, come se fossimo un paese normale, e portare a casa dei risultati di tutto rispetto, beh, forse non eri questo Cavour che pensavi di essere, il che non vuol dire che non lo sarai mai o che non avresti potuto esserlo. Si tratta di capire il quando, il come, il momento e le circostanze. La politica funziona così e se non l’hai capito, dopo tutti questi anni, allora la faccia scura alla cerimonia del campanello, permettimi, non serve a molto. Se l’hai capito, invece, serve a moltissimo, solo che non mi pare sia il tuo caso. Mi sbaglierò.

Vi chiedo scusa per la divagazione e vi ricordo che si, sono sempre io, l’elitario in minoranza, che non crede che si possa uscire dall’Euro, meno che mai in un fine settimana, che se mi dici flat tax io ti dico: parliamone e prova a convincermi, sono quello che pensa che il salario minimo non può essere più alto della media svizzera e che quello universale sia probabilmente irrealizzabile se non succedono almeno altre venticinque cose che porobabilmente non succederanno. Sono quello che crede che se vuoi fare una web tax, la devi far bene e non così tanto per. Ero in minoranza già nel 2009, quando ho preso la tessera e il partito lo gestiva Bersani (sic!) e poi son diventato minoranza di una maggioranza, diciamo dal 2013 in avanti, quando il partito se l’è preso Matteo Renzi e su quindici cose che gli avevo suggerito di fare, in una letterina aperta da questo remoto angolo dell’impero, tre le ha fatte benino, due così così e le altre manco per niente. Le mie priorità erano, mi pare ovvio, minoritarie. Le sue no. Ma vedendo quella tristezza di trasmissione TV, in cui è andato a mostrare l’estratto del suo conto corrente, come se non lo sapesse pure la signora che mi pulisce le scale che esistono i fondi, i conti deposito e gli investimenti immobiliari, ho pensato che avevo ragione io. Matteo, su, ma veramente? E’ questa la legacy che vuoi lasciare? Nel Blob della storia vuoi essere ricordato come quello che andò in televisione a mostrare l’estratto del suo conto corrente? Dai, basta con queste scemenze! C’è un trenta per cento di persone la fuori che si potrebbe addirittura convincere, se fai la cosa migliore che puoi, quella che ti riesce meglio, cioé raccontare il futuro che ti immagini.

D’altra parte, a voler essere onesti e secondo il cliché stantìo di cui sopra, se sono in una configurazione di minoranza costante, non è per colpa di qualcuno in particolare, tanto meno Renzi, ma perché tante delle cose che vorrei per il mio paese non hanno un appeal, né nel mio partito né altrove. Tuttavia mica smetto di lavorarci, anzi, capita pure che ci vinca i congressi, con quelle cose lì. Le scrivo e poi può pure essere che il giorno in cui capiremo che c’è quella cosa chiamata realtà che ci aspetta fuori dalla porta arrivi prima del previsto, che ne sai, all’improvviso. I cambiamenti si fanno per salti quantici, alle volte. Quindi? Quindi…niente.

Così come mi capita in tutte le evenienze della mia esistenza, in tutto quello che faccio e vivo, misuro la distanza fra quello che è il mio mondo ideale e la realtà e tiro una linea. Quella linea si chiama compromesso. Lo faccio sempre. Che vita grama, direte. In realtà, al contrario, è una vita molto piena e interessante, quella di chi lavora per raggiungere compromessi ma non starò qui a provare a convincervi. Per quello che spero e per quello che faccio, per ciò che ho sostenuto e per ciò che auspico (si nota che non ho usato il verbo credere nemmeno una volta?, dai, si nota, vero?) ecco, per tutto ciò, a volte mi capita di essere accusato, in maniera più o meno velata, della qualsiasi: tanto per dirne una, di essere di destra. Accuse a cui, in genere, ho risposto invocando il tormentone di un capo indiano ospite fisso di una trasmissione radiofonica di rai radio 2. Poi ci son quelli che mi dicono le cose tipo: eh, però la stepchild adoption? Che argomentativamente somiglia molto a chiedersi quale handicap a golf siano riusciti a raggiungere i due marò, perché amico caro io almeno una legge per le unioni civili l’ho portata a casa e solo quattro anni fa c’avevo la Binetti e la Bindi da gestire e vivo nel paese in cui la linea d’aria fra il Vaticano e Montecitorio è forse trecento metri. Tu invece non hai ancora fatto un beato stracazzo di niente nella tua vita, quindi facciamo che ne riparliamo quando sarai riuscito a far passare alla mutua le aule per fumatori di cannabis al liceo o la pensione a 50 anni per tutti.

Il 4 Marzo, dicevo, voterò PD, nonostante il PD ci si metta spesso di buzzo buono a minare la mia motivazione di fondo ma, soprattutto, perché mi sembra l’ultimo baluardo, ancorché traballante, a mantenere vivo il legame, quel contatto sano fra il mio paese e la realtà. All’estero abbiamo le preferenze, il ché mi fa sperare che potrebbero esserci su quella lista che voterò dei nomi belli, nomi interessanti, nomi di persone che conosco, con cui ho lavorato in questi anni, con cui ho condiviso la passione e il piacere di vedere delle cose realizzate, le discussioni infinite e i litigi e poi le cose pratiche, i chilometri, i gruppi di whatsapp, le canzoni e i tramonti. Proprio come in uno di quei film italiani finanziati dal Mibac solo che i nostri dialoghi sono scritti molto meglio, anche perché li scriviamo noi e non un minchione di sceneggiatore con la tessera e l’appartamento a S. Lorenzo.

Ora, a parte tutte queste divagazioni e se non mi avete ancora mandato a quel paese per lo sfogo, santi numi, ci fosse un alternativa, il 4 Marzo, io la voterei pure. Il problema è invece che le alternative attuali, implausibili quanto pericolosamente probabili, mi fanno schifo e paura. Non uno schifo antropologico, ché quella scemenza della superiorità spero che un giorno l’archivieremo. Schifo politico, ribrezzo filosofico, come dire, rigetto programmatico. La paura, invece, quella si umanissima e reale, è per il futuro del mio paese. Una delle alternative possibili, per quanto chissà quanto probabile, è una riedizione in chiave tutti-in-galera-tutti-a-casa-ki-ti-paga del sovranismo-nazionalismo-corporativismo-guicciardino che il mio paese ha già conosciuto, più di una volta, anche in periodi piuttosto bui. Il mio paese ci si trova benissimo, in quel milieu, inutile negarcelo. Siamo in tanti ad avercela col mondo e ci crogioliamo spesso in questo esercizio rabbioso del dare agli altri la colpa dei nostri fallimenti. Ecco, io ve lo dico, non vi fidate mai più, in politica ma nemmeno nel resto, di chiunque vi offra una palingenesi. Il futuro non è palingenesi. Pensate davvero che un paese come l’Italia possa essere governato da Di Maio? No, ma veramente fate? Perché io a Di Maio non darei da amministrare nemmeno un condominio, nemmeno una scala di condominio, nemmeno il pianerottolo di una scala di condominio. Lo scrivo senza aver dubitato mai, nemmeno per un minuto, della sua onestà: sono sicuro che non rubi, ma anche questi grandissimi cazzi che non ruba. Il problema è che è scemo, ma scemo forte, il che in politica è peggio dell’essere ladro; voi pensate veramente che cliccando sul sito le leggi da abrogare, poi arrivi lui e quella banda di fessacchiotti che si tira intorno e ve le abrogano tutte? Lo so, lo so, lo so che sono idiozie folcloristiche da campagna elettorale, come Berlusconi che vuole darvi il reddito di dignità: insulsaggini irrealizzabili ma proclamate con la vitalità e lo slancio necessari a intrattenervi per un mesetto. Se ne siete consapevoli, benissimo. Divertitevi pure nella sarabanda di boiate che stanno uscendo in questa campagna elettorale. Crogiolatevi pure, infine, se volete, pensando che si possa essere liberi, nella scelta che farete il 4 Marzo, tipo liberi di non doversi prendere una responsabilità che sia una, di derubricare i calcoli, anche quelli numerici al ruolo di volgarissima utilità, chi se ne fotte dell’utilità se puoi dirti libero. E’ un approccio possibile, non c’è che dire. Continuate pure a trastullarvi con il pensiero che si possa rimanere, anche a questo giro, così liberamente liberi e uguali nella libertà di non doversi sobbarcare il peso della realtà. Tanto, un amico da tradire a cui dare la colpa lo si troverà sempre, dato che lo si è sempre trovato negli ultimi trent’anni, solo che loro sono stati tutti furbi ed eleganti e la faccia scura alla cerimonia del campanello non l’hanno fatta. Le apparenze, sapete, ci piaceva salvarle, prima che arrivassero i barbari.

Vada come vada, la realtà, il 5 Marzo, busserà alla porta. Speriamo bene di non dover consegnare il paese ai suoi aguzzini. Potrebbe succedere. Potrei sbagliarmi.